La riscoperta delle antiche radici che hanno nutrito la medicina occidentale suggerisce la possibilità di nuove e più articolate dinamiche nel rapporto medico – paziente, spingendoci a reinterpretare in chiave olistica il valore semantico dei termini salute e malattia. Ciò ha suscitato tutta una serie di interrogativi le cui eventuali risposte potrebbero suggerire nuovi programmi di ricerca e lo sviluppo di una nuova sensibilità ecologica, verso se stessi e l’ambiente.
D’altra parte, l’evoluzione e lo sviluppo delle attuali tecniche di ricerca hanno reso necessaria una lettura interdisciplinare dei complessi meccanismi che modulano l’omeodinamica di un organismo, evidenziando la straordinaria efficacia del messaggio frequenziale nel regolare il dialogo tra le cellule, i tessuti e l’ambiente esterno. Questo conferma ciò che l’antica arte medica aveva ipotizzato fin dall’inizio e in tutte le latitudini, sulla base di osservazioni empiriche, cioè che la vita in tutte le sue forme dialoga costantemente in un rapporto di equilibrio dinamico con la realtà nella quale essa è immersa. La rottura di tale equilibrio è recepito inizialmente dal paziente come disagio, compensato da tutta una serie di processi neuro-psico-endorino-immuno-posturali.
Il fatto di riconoscere e rimuovere la causa del disequilibrio, o quantomeno contenerne gli aspetti più destabilizzanti, finirà comunque con il promuovere un equilibrio ad un livello più basso e meno stabile che, per essere mantenuto, richiederà un dispendio energetico maggiore del precedente. Tale dispendio energetico sarà a sua volta foriero di ulteriori disequilibri che troveranno il loro compenso nell’azione epigenetica che agirà sulle vie preferenziali geneticamente determinate.
Nonostante disponiamo di protocolli accademici e tecnologie di straordinaria efficacia per la ricerca e la definizione dell’elemento etiopatogenetico sintomatologico per una strategia terapeutica efficace, ogni giorno abbiamo la conferma di quanto sia difficile la ricerca del primum movens etiologico, così utile per programmare una strategia preventiva personalizzata. La soggettività rende spesso inutile ed inefficace l’applicazione di protocolli standard riferiti al dato sintomatologico, d’altra parte la plasticità neuronale dirigerà all’attuazione dei compensi più opportuni per rispondere rapidamente al dolore e alla riattivazione funzionale con la minore esposizione energetica possibile. Tuttavia, com’è noto, ciò ha un costo che il sistema neuro-psico-endocrino-immuno-posturale dovrà pagare per sostenere il soggetto nella sequela dei compensi che via via saranno resi necessari.
Per tutte queste ragioni non possiamo parlare di prevenzione primaria senza un approccio metodologico che noi definiamo olistico il quale, al di là dell’aspetto sintomatologico, indaghi il paziente con criteri analogici e multi dottrinali. Purtroppo non è lontano il tempo in cui l’alibi della privacy non consentirà al medico di indagare al di là dei dati ottenuti con la robotica clinica e ciò ridurrà il concetto di prevenzione ad una serie di procedure standardizzate per sesso, età e patologie, magari rilevate attraverso procedure di ingegneria genetica, dati che per molto tempo verranno valutati a prescindere dall’analisi dei condizionamenti epigenetici responsabili della modalità di oggettivazione, con il risultato di una medicalizzazione generalizzata proposta come prevenzione primaria. Tuttavia oggi con la metodologia olistica, possiamo avvicinarci con buona approssimazione alla causa prima del disequilibrio dei nostri pazienti e procedere quindi alla pianificazione strategica di una prevenzione primaria aderente al valore semantico con cui l’abbiamo conosciuta sui banchi di scuola.
La riscoperta delle antiche radici che hanno nutrito la medicina occidentale suggerisce la possibilità di nuove e più articolate dinamiche nel rapporto medico – paziente, spingendoci a reinterpretare in chiave olistica il valore semantico dei termini salute e malattia.
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